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venerdì 16 settembre 2022

L'UCRAINA NON È UNO STATO SOVRANO. Combatte per la causa NATO-USA non per la sua indipendenza.

di Antonio Castronovi

L'Ucraina non è uno stato sovrano dal 2014 quando è passata, col golpe di piazza Maidan, sotto la sovranità NATO-USA con il supporto delle milizie banderiste neonaziste e di un governo indicato dall’Ambasciata americana a Kiev, vera regista del golpe. Il governo Zelensky è un governo fantoccio, utile per dare una parvenza di democraticità a quello che è a tutti gli effetti un regime militarizzato e repressivo sotto il tallone delle formazioni neonaziste e della polizia. Eletto con la promessa di pacificazione con la Russia e di risolvere la questione del Donbass rispettando gli accordo di Minsk e le autonomie di quelle regioni, dopo le elezioni ha cambiato linea di condotta ed ha abbracciato la causa della guerra infinita alla Russia aderendo a tutta l’impostazione nazionalista dell’estremismo ucraino russofobo, fagocitato dagli ambienti NATO e intimidito dalle milizie banderiste. Tutta l’opposizione politica è stata decapitata, messa al bando o incarcerata, ridotta al silenzio o fuggita dal paese. L’Ucraina non è più una democrazia, è un paese fallito, con una economia fallita, che vive dei sussidi europei e di economia di guerra. L’informazione è militarizzata e i dissidenti, anche giornalisti stranieri che operano nel Donbass, sono iscritti in un albo con tutti i riferimenti anagrafici personali e resi pubblici sulla rete: una vera e propria lista di proscrizione che mette a rischio la loro vita. L'esercito è sotto il comando NATO-USA. Il suo nerbo è costituito dai reparti speciali addestrati dalla NATO e da milizie occidentali camuffate da volontari e mercenari. Il compito assegnato dalla NATO- angloamericana e antieuropea- al popolo ucraino è quello di fare guerra alla Russia e di sacrificarsi per questa crociata fornendo carne da cannone. I soldati sono mandati al massacro contro l’artiglieria russa in numero esorbitante, stile Cadorna durante la Prima guerra mondiale, con l’obiettivo di raggiungere l’obiettivo anche a costo di enormi perdite umane. La conquista della sola zona di Karkov in questi giorni si stima abbiano provocato circa 5.000 morti e diecimila feriti nelle file dell’esercito ucraino che affollano gli ospedali dell’Ucraina e dei paesi europei e che viene sottaciuta dalla informazione nostrana e dai suoi giornalisti con l’elmetto in testa. Il comando, le armi, le tecnologie, le strategie di guerra e le chiavi della pace e della guerra sono nelle mani di Londra e Washington, non di Zelenskji e del suo governo. Per porre termine a questa guerra bisogna scollegarsi da questa catena di comando NATO e rivendicare la piena sovranità politica del nostro paese sulle decisioni che riguardano la pace e la guerra. Ricordiamocelo anche quando andremo a votare. Sulla pace l'Europa non ha voce in capitolo. Non esiste una diplomazia europea. Bruxelles è allineata alla NATO. Non l’ha neanche la Russia, che può solo provare a vincere per raggiungere una pace che garantisca la sua sicurezza. Il generale inverno ci dirà di più. Oppure finirà quando lo vorranno Londra e Washington che non nascondono il loro obiettivo di destabilizzare la Russia e dividersi le sue spoglie. Oppure, in questo caso, arriverà dopo una guerra nucleare, indipendentemente da chi premerà per primo il fatidico bottone. Una pace, questa, non augurabile e da evitare.
L’Italia è in guerra. Diciamocelo senza ipocrisie. Lo è sostenendo in tutte le forme le strategie di guerra della NATO-USA, dalle sanzioni alla Russia all’invio di armi senza il controllo del Parlamento. Lo è con il coinvolgimento emotivo dell’opinione pubblica sulle ragioni della guerra alla Russia, con la militarizzazione dell’informazione e del sistema mediatico tutto con il compito di costruirne il consenso. Lo è accettando le restrizioni nefaste per il benessere dei cittadini causate dalle sanzioni scellerate, utili solo per mettere inginocchio la nostra economia e quella europea.
Questa guerra non ci appartiene. L’Italia non ha nulla da guadagnarci e tutto da perdere. Dire che combattiamo per la libertà e la democrazia in Ucraina è solo una menzogna senza riscontro nei fatti. L’Ucraina non è né una democrazia e né uno Stato ormai più sovrano, ma una colonia USA-NATO.
Questa guerra serve solo gli interessi egemonici del mondo anglosassone che oggi sceglie la guerra in Europa per ri-affermali, come è sempre stato nella sua eterna storia coloniale.
Speriamo anche di no, stavolta.

giovedì 4 agosto 2022

Questione comunista o questione della rivoluzione in Occidente?

di Sandro Valentini

Quando sostengo la necessità di un nuovo soggetto politico per l’Italia e per l’Europa non ripropongo la questione comunista, anzi uso raramente la parola comunista e solo in occasione di riferimenti storici. Sono fermamente convinto che non è tramite il rilancio di un movimento comunista che si possa uscire dalla situazione di subalternità al pensiero liberale. Non è che non consideri le esperienze in cui i comunisti svolgono un ruolo importante, decisivo, strategico. Per esempio in Cina, in Russia, in Vietnam, a Cuba e in altri paesi, ma non è un caso che queste esperienze, tolte delle eccezioni, siano vive, influenti, contino in paesi non occidentali e siano espressione di complessi processi storici, che piaccia o no, si riflettono e pesano nello scenario internazionale.

D’altronde occorre avere in mente la storia. Lenin trasforma la fazione bolscevica del Partito socialdemocratico russo in Partito comunista e fonda sulla spinta dell’Ottobre l’Internazionale perché è certo del trionfo anche in Occidente, nel breve periodo, della rivoluzione. I partiti comunisti non nascono dunque per condurre una battaglia di lunga lena, non era questa la prospettiva indicata dai comunisti russi, ma per fare da subito la rivoluzione in quanto imminente. I partiti comunisti, solo alcuni anni dopo la loro nascita, che tra l’altro coinciderà con la loro sconfitta in Europa, cercheranno – e solo pochi ci riusciranno – di riorganizzarsi per darsi una politica di lungo respiro, che avrebbe dovuto tenere conto del ripiegamento del Pcus, con Stalin, sul socialismo in un solo paese. In sintesi è stato questo il contesto storico che portò alla nascita dei partiti comunisti, ma questo contesto è superato e quindi sarebbe una pessima iniziativa cercare di riproporlo a distanza di un secolo, con il nuovo millennio. Non è sufficiente avere un nome e una storia gloriosa per continuare a essere necessari! Occorre rivisitare dunque una serie di categorie, elaborate da Marx, Engels, Lenin e Gramsci, ma anche dal Pci di Togliatti, magari in parte per riaffermarle, cercando però di aggiornarle, altre volte per correggerle rispetto alle trasformazioni del capitale, infine, in qualche caso, per consegnarle alla storia poiché superate. Non è mia intenzione gettare all’ortiche, come molti hanno fatto a sinistra, due secoli di storia del marxismo e di lotte del movimento operaio.

domenica 19 giugno 2022

Sapere e liberazione

di Massimo Piermarini

Il lavoro è sempre presente nell’orizzonte del modo di produzione capitalistico. Esso
certamente non ha più nulla a che fare, se ci riferiamo alle sue determinazioni extra-
economiche, con l’idea produttivistica dello sviluppismo e con la cosiddetta “ideologia
del lavoro”. Nel capitalismo attuale, nel quale la componente cognitiva acquista sempre
più importanza, intervengono importanti innovazioni che interessano lo statuto del
lavoro vivo. Infatti, la produzione della ricchezza avviene tramite la conoscenza stessa,
grazie all’attività cognitiva e relazionale dei soggetti.
Capacità cognitive e attività di relazione sono diventate due facce della stessa medaglia,
inscindibili una dall’altra, e stanno alla base del general intellect, ovvero
dell’intellettualità diffusa, già preconizzato da Marx nei Grundrisse (1) . Quello che Marx
chiamava general intellect è la nuova fonte principale di (plus)valore ma è perché
diventi produttivo ha bisogno dunque di «spazio», cioè di un luogo, sia pur virtuale, in
cui sviluppare una rete di relazioni. Altrimenti, se resta incorporato nella singola
persona, diventa fine a sé stesso. Magari attua un processo di valorizzazione individuale
ma non il si realizza come valore di scambio per l’accumulazione della ricchezza, cioè
non funziona come una «merce».

giovedì 16 giugno 2022

Scheda su Renzo Laconi

A cura di Aldo Cannas

Renzo Laconi nasce a Sant’Antioco, nel sud della Sardegna, il 13 gennaio 1916 in una famiglia di simpatie socialiste e rimane orfano del padre quando aveva un anno.
Studia, in una situazione di difficoltà economiche ma con massimo profitto, fino a conseguire la laurea in Filosofia nel 1936.  Inizia ad insegnare in una scuola privata a Cagliari e nel 1940 si trasferisce a Firenze; qui entra in contatto con Giuseppe D’Alema e un gruppo di giovani comunisti.
Nel 1942 aderisce al Partito Comunista clandestino impegnandosi attivamente.
L’anno successivo viene richiamato alle armi e assegnato ad un battaglione costiero in Sardegna e dentro l’esercito svolge una intensa propaganda antifascista.  Dopo l’8 settembre intensifica l’attività politica anche nel territorio e nei primi di novembre partecipa ad Oristano al Convegno regionale del PCI.
Tra il 1943 e il 1946 occupa incarichi di rilievo  nelle strutture territoriali sarde del sindacato e del partito e si impegna nell’organizzazione delle lotte bracciantili e per la costituzione di cooperative agricole.
Si sviluppa in questo periodo il dibattito nel PCI sardo sulla autonomia regionale e dopo un primo periodo in cui Laconi assume, come da tradizione, una posizione centralista sviluppa posizioni orientate, se non ad una prospettiva federalista, sicuramente ad una forte autonomia regionale nella quale sviluppare e rafforzare una alleanza tra operai, pastori e contadini. Tale posizione avrà l’avallo del V congresso nazionale del PCI dell’inizio del 1946.
Tra il 1945 e il 1946 partecipa attivamente ai lavori della Consulta Regionale sarda che elabora la proposta di Statuto Sardo che viene approvata dalla Assemblea Costituente eletta nel giugno del 1946 e di cui Renzo Laconi fa  parte (Velio Spano, primo nei suffragi ricevuti, opta per l’elezione in un Collegio nazionale e gli subentra Laconi).
Renzo Laconi viene ricordato non solo per aver dato  un fondamentale contributo  per l’inserimento dell’Autonomia Regionale in Costituzione ma per la complessiva elaborazione della Carta Costituzionale: è uno dei comunisti più attivi, membro della commissione dei 75, e svolge 128 interventi in assemblea plenaria dando un apporto qualificato  sulle principali questioni della sovranità popolare, del ruolo dei partiti politici e della magistratura, nonché della separazione dei poteri tra gli organi dello Stato.
Comunista molto noto e dalla proverbiale capacità oratoria viene eletto alla Camera dei Deputati nel 1948 e rieletto in tutte le legislature successive fino alla sua morte avvenuta a Catania il 29 giugno 1967 durante la campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale siciliano.
Nel 1956 entra nel Comitato Centrale del PCI e dal 1957 al 1963 dirige come segretario il PCI sardo (con una segreteria composta da Umberto Cardia, Luigi Pirastu, Girolamo Sotgiu ed Enrico Berlinguer vicesegretario per il primo anno), guidandolo nel suo radicamento e rafforzamento e contribuendo alla elaborazione di un modello concreto  di sviluppo nella situazione autonomistica e dello specifico Piano di Rinascita che si avvia nel 1962 con l’approvazione della L. 588 e che avrebbe dovuto dare piena attuazione all’art. 13 dello Statuto. 


giovedì 9 giugno 2022

Da “Il capitale finanziario oltre il capitalismo”

Da “Il capitale finanziario oltre il capitalismo”

Ed. Punto Rosso – Febbraio 2221

Di Sandro Valentini

Il capitale finanziario


Nell’ analisi strutturale di Marx la distinzione tra capitale produttivo e capitale finanziario, sia pur nella loro sostanziale unitarietà, è precisa. Il capitale finanziario è cosa ovviamente ben diversa dal capitale commerciale e di credito che aveva avuto una parte rilevante nelle società mercantilistiche precapitalistiche. Sorge e si sviluppa con il formarsi delle società per azioni. Questa distinzione permette a Marx di stabilire il modo proprio del capitale finanziario di regolamentare totalmente la società, in qualche misura autonomamente dallo stesso capitale produttivo. Egli infatti vede nel capitale finanziario, tramite appunto le società per azioni e il credito, non solo il semplice processo di produzione e di scambio, ma ne individua anche un livello più alto che determina il suo ruolo preminente sull’intera società. Il capitale finanziario dunque come intelligenza reificata del processo sociale. La forma di una società a capitalismo maturo è quella in cui la funzione sociale del capitale è resa dominante dal momento finanziario.